C’è un’immagine di Domenico De Palo che ritorna spesso nei documenti delle brigate di Giustizia e Libertà che ne hanno tramandato il ricordo. Ha il volto sereno e il sorriso appena abbozzato. Anche la lapide che ricorda alcuni partigiani ruvesi in piazza Matteotti lo ritrae così.
Nato a Monfalcone da Michele e Biagia Mazzone il 22 aprile 1923, Domenico non ha ancora compiuto vent’anni quando è chiamato a presentarsi al Distretto Militare di Barletta per prendere parte alla guerra che sta insanguinando l’Europa da tre anni. La sua famiglia è rientrata a Ruvo di Puglia da diversi anni e la quotidianità di Domenico è scandita dal lavoro di tornitore alle dipendenze delle Ferrovie dello Stato. La sua condizione di dipendente pubblico gli consente di rimandare per alcuni mesi l’arruolamento, finché nel luglio 1943 è costretto a partire per il fronte1.
Tuttavia, non si tratta di una permanenza lunga. Lo ritroviamo pochi mesi dopo in Piemonte, dove lo conduce il caos generato dall’armistizio dell’8 settembre e dalla dissoluzione delle forze armate. È il novembre del 1943 e giunto nel canavese, De Palo si unisce alle prime bande partigiane sorte attorno a Cuorgnè, oggi in provincia di Torino2. Qui si fa apprezzare e conoscere dalla popolazione locale, diventa il comandante di alcuni di questi gruppi con il nome di battaglia di “Renato il tenente” (Rento ‘l tenent nel dialetto del posto).
Così lo ricorda nelle sue memorie il partigiano Giacomo Troglia Ris, nome di battaglia “Gimmy”:
«lo incontrai nei paraggi di casa mia una sera umida e fredda dei primi di novembre del 1943. Mi chiese con circospezione se conoscevo il nominato “Gimmy”, ma mi accorsi che batteva i denti per il freddo. Infatti, come abbigliamento aveva una giacca e dei pantaloni di tela. Il resto lo aveva dato ai compagni.
La sua attività giorno per giorno gli valse il titolo di “Renato il tenente”, titolo e considerazione scaturiti dal generoso spirito di quel popolo contadino che seppe dare alla lotta per la libertà ciò che i grandi generali, i magistrati e gli altri grandi non seppero e non sapranno dare mai»3.
Tra il 1943 e il 1944 le bande partigiane della zona si strutturano, unificandosi in nella VI Divisione Canavesana che aderisce a Giustizia e Libertà. Il merito di questa svolta organizzativa è del lavoro tessuto per mesi da due partigiani carismatici e di alto profilo militare: Mario Costa, detto il “Diavolo Nero”, e Luigi Viano, nome di battaglia “Bellandy”, che ad inizio 1944 assume il comando della VI Zona Operativa piemontese. Il gruppo guidato da De Palo si aggrega alla VI Divisione e passa sotto il comando di Bellandy.
La formazione accresce il numero dei suoi elementi, soprattutto grazie ai tanti renitenti che affluiscono, cercando di sottrarsi alla chiamata alle armi indetta dalla Repubblica Sociale Italiana. Per i fascisti è il momento di intervenire.
Nei primi giorni di marzo del 1944 si dispiega una vasta operazione di rastrellamento del canavesano. Cinquecento militari nazifascisti, dei quali molti inquadrati nel battaglione “Moschettieri delle Alpi”, si lanciano verso le valli con l’obiettivo di fiaccare i gruppi partigiani di Bellandy e del Diavolo Nero.
Il 4 marzo Domenico De Palo è nella zona, dove ha accompagnato una ventina di militari sbandati al comando della brigata. Uditi gli spari del conflitto a fuoco tra i partigiani del Diavolo Nero e i fascisti, De Palo si precipita verso Cuorgné per portare aiuto. Sulla strada si imbatte in una pattuglia fascista che lo arresta e lo carica sul camion. Poco dopo, il mezzo viene attaccato dai partigiani di Nicola Prospero, quando il veicolo è nei pressi di Prascorsano. Domenico prova ad approfittare del disorientamento causato dall’imboscata e si getta dal camion, incitando i compagni a sparare. Tuttavia, il corpo di De Palo viene trafitto da diversi colpi alla schiena e al petto, vittima del fuoco incrociato.
Recuperato dai fascisti, il cadavere viene gettato in un fossato a bordo strada e gli viene appeso un cartello al collo: «guai a chi lo tocca prima di tre giorni».
Successivamente, quando i suoi compagni ricompongono il cadavere, lo seppelliscono nel cimitero di Prascorsano. La I Brigata della VI Divisione GL viene intitolata in sua memoria.
Nel 1952 la madre Biagia ottiene la traslazione delle spoglie a Ruvo di Puglia. Quando il corpo giunge nella città, il 13 luglio, ha luogo il funerale presso la cattedrale alla presenza dei familiari e di una scorta d’onore di marinai. La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 luglio 1952 ne riporta la notizia, come da immagine a fianco.
Da allora il cimitero civico ne custodisce le spoglie. Nel 2021 il comune di Prascorsano ha intitolato una via al partigiano De Palo. A guardare bene il suo volto sulla lapide sepolcrale, non appare più la spensieratezza dei vent’anni, ma lo sguardo corrucciato di chi è stato strappato alla vita troppo presto. Un monito per quanti hanno dimenticato in fretta i valori e i sacrifici sui quali si poggiano le fondamenta della nostra Repubblica.
- Secondo il foglio matricolare conservato presso la Sezione di Barletta dell’Archivio di Stato di Bari, matricola 25052, De Palo risulta essere stato aggregato al 64° Reggimento Fanteria “Cagliari”, schierato in Grecia sul Peloponneso meridionale. Tuttavia, una fototessera di De Palo lo ritrae giovanissimo in abiti da marinaio. Si può supporre che abbia svolto il servizio di leva in tale arma. Anche Bruno Rolando, autore di uno studio sulla formazione partigiana a cui appartenne De Palo, lo definisce “marinaio”. ↩︎
- L’attività partigiana di De Palo è riassunta in breve nelle pagine 58 e 59 del seguente volume: Bruno Rolando, La Resistenza di Giustizia e libertà nel Canavese, Gino Viano (a cura di), Enrico editore, Ivrea-Aosta, 1981. ↩︎
- Gimmy Troglia, ll mio angolo di Resistenza, Ferdinando Prat (a cura di), Enrico editore, Ivrea, 1976. ↩︎
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