In occasione delle commemorazioni del 25 Aprile, Anniversario della Liberazione d’Italia dal nazifascismo, l’Amministrazione Comunale apporrà una nuova pietra d’inciampo in piazza Matteotti in memoria di Salvatore Di Palo (1919-1944), ruvese deceduto nei lager nazisti. Il suo nome va ad aggiungersi a quello di Michele Rossini (1901-1944) e Giovanni Marinelli (1922-1945), deportati per attività antifascista e deceduti rispettivamente a Ebensee (Austria, sottocampo di Mauthausen) e Dachau (Germania). Due pietre d’inciampo sono state inaugurate già lo scorso anno in loro memoria. Nelle righe che seguono si offre una sintetica ricostruzione della vicenda biografica di Salvatore Di Palo
Salvatore Di Palo conosce il dramma della guerra a soli vent’anni. Figlio di Bartolomeo e Maria Zanni, nasce il 6 ottobre 1919, consegue la terza elementare, lavora come agricoltore e si presta come meccanico all’occorrenza.
Il 28 aprile 1939 viene convocato per il servizio di leva, posto in congedo illimitato e riconvocato il 16 maggio 1940, con assegnazione alla Regia Aeronautica presso il centro di raccolta di Bari. Poche settimane dopo, il 10 giugno, l’Italia entra in guerra al fianco della Germania contro Francia e Gran Bretagna.
Dopo un periodo di formazione presso il Centro Istruzione di Catania, Di Palo rientra a Bari il 19 ottobre 1940, in attesa di essere imbarcato il 23 ottobre per l’Albania. Il 25 ottobre sbarca a Durazzo. Da questo momento comincia un peregrinare in diversi distaccamenti a cui viene assegnato: Drenovë, Tirana e Cattaro (Montenegro), dove viene promosso ad aviere scelto.
Il 23 marzo 1943 – come risulta dal foglio matricolare – ha inizio una peripezia che condurrà il Di Palo alla morte. In tale data, viene posto in stato di arresto presso «la prigione del Corpo [il Comando dell’Aeronautica dell’Albania, N.d.R.] in attesa di giudizio [poiché] imputato di abbandono del posto di guardia». Due giorni dopo il foglio matricolare segnala la denuncia per lo stesso reato al Tribunale militare di Selenizza (Albania). Il 31 marzo viene nuovamente denunciato allo stesso tribunale per il reato di furto ai danni dell’Amministrazione Militare.
Non sono chiari i motivi precisi che hanno condotto all’arresto del Di Palo, né è stato possibile accedere agli atti giudiziari; certamente il marzo 1943 è piuttosto complicato per la presenza italiana in Albania, la quale si trova a fronteggiare le incursioni sempre più efficaci e insistenti dei partigiani albanesi. Il 31 marzo, proprio nella città di Selenizza, circa ottocento partigiani attaccano una colonna formata da oltre cento carabinieri e soldati del Regio Esercito, annientandola. Eventi come questi portano scompiglio tra le truppe italiane e la situazione fortemente critica potrebbe aver aggravato la posizione del Di Palo.
Ad ogni modo, il 10 aprile Di Palo cessa di essere mobilitato al fronte e viene trasferito al Comando centrale dell’Aeronautica in Albania, finché il 18 luglio giunge a Peschiera del Garda (Verona), recluso presso il carcere militare XXX Settembre.
In questo luogo sono concentrati militari renitenti alla leva e colpevoli di reati commessi al fronte. Nei giorni successivi all’8 settembre 1943, dopo la firma dell’armistizio, il numero di prigionieri aumenta, includendo anche militari provenienti dal fronte greco e balcanico che si rifiutano di proseguire la guerra al fianco dell’alleato tedesco. La situazione precipita quando i tedeschi giungono a Peschiera da Verona il 9 settembre, nel corso dell’occupazione militare della Penisola. Nel carcere XXX Settembre sono reclusi circa 1.500 militari ai quali viene chiesto di proseguire la guerra sotto le insegne delle forze armate tedesche o della futura Repubblica Sociale Italiana. La stragrande maggioranza dei detenuti rifiuta la proposta, segnando uno dei primi atti di Resistenza al nazifascismo.
Agli occhi dei tedeschi la questione si risolve attraverso la deportazione di tutti i prigionieri. Il 20 settembre le SS provvedono all’arresto e al trasferimento dei prigionieri alla stazione di Peschiera. Il 22 settembre il convoglio giunge nel campo di concentramento di Dachau (Germania).
Di Palo, a cui viene assegnato il numero di matricola 56227, viene assegnato a partire dal 22 ottobre al sottocampo di Allach, alle porte di Monaco di Baviera, dove la BMW sfrutta il lavoro dei prigionieri di Dachau per fabbricare i motori 801 destinati ai velivoli della Luftwaffe. Il 31 maggio 1944, probabilmente consumato dai lavori forzati, Di Palo viene trasferito ad oltre trecento chilometri di distanza, ovvero presso il campo di concentramento di Buchenwald, nella Germania orientale.
Qui, Salvatore Di Palo, numero di matricola 54130, trova la morte il 24 agosto 1944 a soli 24 anni.
Alcune note a margine: nella documentazione proveniente dai lager, la madre del Di Palo, Maria, appare come riferimento costante; in un solo caso vi è l’indirizzo: via Duca della Vittoria 5. Le schede di Dachau e di Buchenwald riportano anche l’assegnazione al Di Palo del triangolo rosso con la “I”, simbolo dei prigionieri politici italiani. Al momento sono sconosciute suoi eventuali coinvolgimenti in attività antifasciste o antimilitariste, al di là del rifiuto di massa di combattere con i tedeschi espresso dai militari reclusi a Peschiera del Garda. In altri documenti, Di Palo è classificato con il triangolo nero, quello degli “asociali”, ovvero individui o gruppi considerati non conformi alle norme sociali, come ad esempio rom e sinti o civili oppositori della guerra. Nella lista che segnala il suo trasferimento a Buchenwald, Di Palo appare tra gli Schutzhäftlinge, ovvero prigionieri deportati per motivi di sicurezza.
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